Il nostro corpo è paragonabile ad una complessa automobile le cui potenzialità rimangono
sconosciute fintanto non ci si applica per testarle.
É chiaro che se possediamo una Fiat 500 non potremo mai raggiungere le prestazioni di
una Ferrari ma possiamo mettere mano al nostro “motore” per diventare una piccola Abart.
Ciò per dire che ognuno di noi ha dei limiti e dei potenziali strettamente correlati alla
genetica. Capire il potenzie genetico ed esprimerlo al meglio significa dare la miglior
versione di se stessi; ovviamente includendo nel pacchetto costanza e sudore.
Parlare di performance e d’ipertrofia significa lavorare su tre punti fondamentali:
- Allenamento
- Alimentazione (ed integrazione)
- Recupero
L’allenamento verte su 2 variabili:
- stimolo allenante (carico, volume, intensità ed effort)
- adattamento fisico all’esercizio.
Tale contesto innesca uno stato di “stress” fisico che stimola il corpo ad attivare processi di
supercompensazione necessari a raggiungere un livello di efficienza superiore.
Tutto chiaro e “semplice” ma ciò non basta. Se la fase di supercompensazione non viene
supportata con adeguati tempi di recupero e se al corpo non vengono forniti i nutrienti
necessari a “ripagare” il dano non ci sarà miglioramento.
Il mio ruolo come nutrizionista:
- analizzare il modello prestativo (gesto atletico) e determinare la composizione corporea
più ottimale per svolgere l’attività (da dove partiamo e dove vogliamo arrivare); - Individuare la strategia nutrizionale più adeguata (in termini energetici, ripartizione
percentuale dei macronutrinti e taimig d’assunzione, micronutrienti e strategie
d’idratazione) in base alla periodizzazione (periodo di preparazione, periodo competitivo
(gare, campionati), fasi di bulk e cut); - Ottimizzare le fasi di recupero e supercompensazione (intervento nutrizionale pre, in e
post-workout) con integratori (plastici, energetici e funzionali); - Fornire supporto alle fasi di riabilitazione e off-season.