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I benefici della pasta artigianale: l’esperienza del pastificio Martelli

La pasta e i suoi benefici

La pasta è una delle pietre miliari dell’alimentazione italiana e si trova alla base della piramide della dieta mediterranea, ormai da tempo riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Secondo quanto stabilito dalla SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana), la dose di riferimento per gli adulti è di 80 g per la pasta secca e 100 g per la pasta all’uovo fresca (peso a crudo). Essa è costituita prevalentemente da carboidrati, i quali dovrebbero fornire circa il 50-60% dell’apporto energetico giornaliero.

Secondo la nostra legislazione si definisce pasta il prodotto ottenuto dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati esclusivamente con acqua e semola di grano duro, semolato di grano duro o semola integrale, mentre la cosiddetta pasta all’uovo deve essere prodotta esclusivamente con semola di grano duro e l’aggiunta di almeno 4 uova intere di gallina (prive di guscio) per un peso complessivo non inferiore a 200 g di uova per ogni chilo di semola.

Fasi di produzione

Le fasi di produzione della pasta sono le seguenti:

  • selezione del frumento e sua macinazione al fine di ottenere semole delle migliori qualità;
  • impastamento della semola con acqua pura e gramolatura dell’impasto così ottenuto cui consegue la formazione del glutine, maglia proteica che mantiene insieme i vari costituenti, amido in testa;
  • trafilazione, fase che determina la forma del prodotto finito realizzata con trafile che possono essere al teflon o al bronzo; quest’ultime allungano i tempi di produzione, ma migliorano la qualità del prodotto rendendo la pasta rugosa e porosa quindi capace di assorbire meglio i sughi; al termine di questa fase si ottiene la pasta fresca (umidità del 30%), che viene quindi incartata e venduta;
  • essiccamento, che rappresenta la fase più delicata del ciclo produttivo e in cui la pasta viene lasciata riposare per vari giorni a una temperatura di circa 36-38°C per favorire l’evaporazione progressiva e uniforme dell’acqua dagli strati più interni a quelli più esterni dell’alimento;
  • raffreddamento, al termine del quale si ottiene la pasta secca (umidità del 12,5%), poi confezionata e venduta.

Tipologie di pasta

Oggi esistono quindi tantissime tipologie di pasta: industriale o artigianale; senza uova o all’uovo; secca o fresca; di semola di grano duro, semolato di grano duro o semola integrale; a sezione tonda, quadrata o rettangolare. Come fare a scegliere?

Tra pasta industriale e pasta artigianale sicuramente l’ideale è scegliere quella artigianale, per la maggiore attenzione data alla scelta delle materie prime (semole di grano 100% italiano, uova da allevamenti selezionati), ma anche per i metodi di lavorazione (trafile al bronzo e non al teflon, basse temperature). Ciò fa sì che la pasta artigianale abbia un costo più elevato rispetto a quella industriale, ma presenti anche una qualità decisamente migliore.

Dal punto di vista nutrizionale l’apporto calorico per 100 g di prodotto cotto (bollito) è pari a 123 kcal per la pasta all’uovo, 175 kcal per la pasta di semola e 182 kcal per la pasta di semola integrale (dati CREA), con quest’ultima che è più ricca in vitamine e sali minerali grazie al recupero della crusca (tegumento esterno del grano) durante il processo di produzione. Inoltre la pasta integrale è ricca di fibre che presentano vari benefici:

  • regolarizzano la funzionalità intestinale riducendo il tempo di transito intestinale e aumentando la massa fecale, ciò che rende ottima questo tipo di pasta per coloro che soffrono di stipsi;
  • aumentano il senso di sazietà e riducono l’assorbimento di zuccheri e lipidi aiutando il controllo del peso corporeo.

Tuttavia la fibra possiede anche un’azione chelante nei confronti di vari nutrienti rendendo preferibile non consumare pasta integrale in concomitanza di integratori. Questo tipo di pasta dovrebbe essere evitato anche dalle persone che soffrono di colite perché le fibre possono causare gonfiore addominale.

Invece la pasta all’uovo presenta un maggior contenuto in proteine e colesterolo rispetto alla pasta propriamente detta, cosa che rende quest’ultima più adatta al consumo da parte di soggetti che soffrono di dislipidemie e problemi cardio-vascolari. Inoltre, la pasta all’uovo rappresenta una buona fonte di ferro e zinco, importanti rispettivamente per il buon funzionamento di globuli rossi e sistema immunitario, nonché di vitamina B12, derivante dalle uova e utile per ridurre il rischio di malattie cardio-vascolari.

Quanto alla forma la scelta dipende semplicemente dai gusti del consumatore!

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Benefici della pasta

Oltre a quelli già citati, la pasta possiede anche molti altri effetti benefici sulla salute:

  • il selenio di cui è ricca protegge le cellule da danni molecolari attivando enzimi anti-ossidanti;
  • il manganese in essa contenuto aiuta a metabolizzare i grassi e a regolare la glicemia;
  • il basso impatto glicemico che presenta la rende un alimento consigliabile anche per chi desideri perdere peso (sempreché consumata nella giusta quantità e inserita in una dieta equilibrata);
  • la serotonina prodotta a partire dal glucosio in essa contenuto favorisce il buon umore, non a caso è conosciuta anche come ormone della felicità;
  • i carboidrati complessi la rendono un alimento perfetto per gli sportivi perché rilasciano lentamente glucosio nel sangue.

Pochissime sono invece le controindicazioni. Porzioni eccessive possono ovviamente causare un aumento di peso senza peraltro costituire la principale causa di sovrappeso/obesità. Inoltre, poiché contiene glutine, effetti collaterali importanti possono essere osservati in chi soffre di celiachia o intolleranza al glutine (Non Celiac Gluten Sensitivity).

Curiosità e falsi miti sulla pasta

Molto interessante è la storia dell’origine della pasta (fonte Treccani). Non si sa bene quale popolo l’abbia inventata né tantomeno quando, ma si tratta sicuramente di un alimento molto antico. Un tipo di pasta molto simile agli attuali ravioli è descritta addirittura da Aristofane già nel V secolo a.C. (antica Grecia). Nelle opere degli antichi autori dell’Impero romano si ritrovano spesso le lagane, descritte come simili alle attuali lasagne, ossia un impasto di acqua e farina di grano duro tagliato a strisce più o meno larghe e poi farcite con verdure o carne. Dopodiché le tracce della pasta si perdono per qualche centinaio di anni per essere poi riscoperte dagli Arabi, che la diffusero in Sicilia e nel resto del Mediterraneo durante la loro dominazione. Fino ad allora la pasta fu alimento esclusivamente fresco. Solo nel IX secolo in Africa settentrionale cominciò ad essere essiccata per renderla più duratura e quindi più adatta ai lunghi viaggi esplorativi (anche perché ricca di energia e nutrienti).

Alla fine del XV secolo la pasta veniva prodotta in Sicilia, Liguria e Campania, ma curiosamente il suo consumo era limitato ai ceti più ricchi a causa dell’elevato costo. Veniva consumata con verdure e carne, ma anche con miele e zucchero oppure cotta in burro e cannella. La produzione di pasta aumenta considerevolmente nel XVII secolo grazie alla meccanizzazione di alcuni processi produttivi, che la rendono anche economicamente più conveniente. L’abbinamento con il pomodoro, non più utilizzato come pianta ornamentale, si scopre delizioso e ne favorisce il consumo anche da parte dei ceti meno abbienti mediante la vendita per strada a basso costo.

Un’ultima curiosità è rappresentata dal fatto che fino a inizio Ottocento l’impastamentoera eseguito con i piedi, pratica poi vietata per motivi igienici nel 1833. Acqua e farina cominciarono così ad essere impastate con le mani, gesto oggi ritenuto fonte di rilassamento contro lo stress e i ritmi frenetici della vita quotidiana.

Devono invece essere sfatati alcuni falsi miti sulla pasta:

  1. Più è cotta, più è digeribile. In realtà diversi studi dimostrano che la pasta “al dente”è più digeribile rispetto a quella troppo cotta in quanto richiede maggiore masticazione e quindi determina un più elevato rilascio in bocca dell’enzima ptialina, con il quale inizia la semplificazione delle complesse catene dell’amido facilitando la digestione complessiva.
  2. La pasta fa ingrassare. Uno studio canadese del St. Michael’s Hospital pubblicato su BMJ Open ha invece dimostrato che il consumo di circa 3 porzioni di pasta a settimana, al posto di altri carboidrati, non determina un aumento di peso, bensì una sua leggera riduzione. La pasta presenta infatti un indice glicemico più basso rispetto a molti altri alimenti a base di carboidrati. Ciò è vero in particolare per quella integrale grazie alla presenza di fibre che aumentano il senso di sazietà. Inoltre, la pasta “al dente” presenta un indice glicemico più basso rispetto a quella molto cotta perché l’amido, non essendo completamente gelatinizzato, rilascia glucosio più lentamente allungando il tempo di sazietà e aiutandoci a mangiare nelle giuste quantità.
  3. Evitare di mangiare la pasta a cena. Questo è il luogo comune più diffuso sui carboidrati. In realtà ciò che conta è la giornata alimentare complessiva. Mangiare i carboidrati a cena può quindi risultare corretto (soprattutto se non si sono mangiati a pranzo).
  4. Aggiungere olio all’acqua di cottura permette di non far attaccare la pasta. Come è noto, olio e acqua non si mescolano (in quanto il primo è apolare e la seconda è polare) e l’olio, che ha una densità minore dell’acqua, tende a salire in superficie. Pertanto l’unica soluzione rimane quella di tenere in movimento la pasta mescolandola con cura.
  5. Scola sempre tutta l’acqua. E’ meglio che la pasta conservi “addosso” un po’ di acqua di cottura perché in questo modo essa si amalgama meglio con il sugo.
  6. La pasta è un primo, non un piatto unico. In realtà l’ideale è proprio l’opposto, ossia creare un piatto unico associando alla pasta un sugo proteico e un contorno di verdure. Ciò permette di abbassarne ulteriormente l’indice glicemico riducendo la sensazione di fame e migliorando il senso di sazietà.

Gli antichi grani italiani

Una pasta di buona qualità dipende innanzitutto dalla scelta delle materie prime, in particolare del grano utilizzato per ottenere la semola o il semolato di grano duro e, come detto, da questo punto di vista la pasta artigianale è sicuramente migliore rispetto a quella industriale.

L’Italia è tra i principali coltivatori di grano, infatti campi di grano si estendono un po’ su tutta la penisola, prevalentemente al Sud. La pasta di migliore qualità è ottenuta dalle farine degli antichi grani italiani, varietà che non hanno subito alcuna manipolazione da parte dell’uomo, ma sono rimaste autentiche e originali per colore, sapore e composizione genetica, quindi sicuramente più sane rispetto ai grani attuali, spesso geneticamente modificati al fine di renderli più produttivi, ricchi di glutine e resistenti ad erbicidi, malattie e avversità climatiche. Da quest’ultimi si ottengono farine raffinate, più difficili da digerire, povere di nutrienti e probabilmente responsabili (almeno in parte) della diffusione dell’intolleranza al glutine osservata negli ultimi decenni. Al contrario, i grani antichi risultano più leggeri e facili da digerire, grazie a un miglior rapporto tra glutine e amido, e presentano una ridotta quantità di glutine risultando particolarmente indicati in caso di gluten sensitivity.

Le più famose varietà di antichi grani italiani sono:

  • Senatore Cappelli. Ingrediente originale della farina di grano duro, ricco di nutrienti e proteine di qualità, rappresenta il tipo di frumento più coltivato nei primi del Novecento, sopratutto al Sud e nelle isole. Quasi scomparso dopo gli anni ’50, in quanto sostituito da varietà più produttive, è stato poi riscoperto e valorizzato intorno al 1990 da alcuni piccoli agricoltori del Centro-Sud che lo hanno utilizzato per la produzione di paste tradizionali;
  • Monococco. Antico tipo di farro, è stata la prima specie di frumento ad essere coltivata dall’uomo (9.000-10.000 anni fa) ed è stato quindi alla base dell’alimentazione umana per migliaia di anni. Esso è poco produttivo, ha una bassa quantità di glutine e qualità nutrizionali superiori rispetto agli altri cereali. La sua farina viene usata per la produzione di pasta, pane, biscotti e altri prodotti da forno;
  • Tumminia. Tra i grani antichi più famosi di Sicilia, ha costituito la base dell’economia agricola dell’isola, mentre oggi rischia l’estinzione. Tipicamente usata per la produzione di pane e pasta fresca, questa cultivar presenta una bassa quantità di glutine ed è ricca di proteine;
  • Verna. Grano toscano prodotto per la prima volta intorno agli anni ’50, è stato oggetto di uno dei migliori studi sull’impatto dei grani antichi in una sana alimentazione;
  • Saragolla. Varietà italiana ricca di nutrienti di alta qualità, è molto simile al grano khorasan da cui si ottiene l’ormai famosa farina di Kamut.

Altri antichi grani italiani sono il  Gentil Rosso (Emilia Romagna), il Solina (Appennino centrale), il Rieti, il Maiorca, il Rusello e lo Strazzavisazza.

Il problema del glifosato

Purtroppo i grani antichi stanno piano piano scomparendo e oggi sono diventati esclusivi di piccole coltivazioni, non intensive e biologiche: pochi sono infatti i produttori agricoli che prediligono la qualità alla quantità sfidando le leggi del mercato. Questi grani vengono tipicamente macinati a pietra e lavorati lentamente e a basse temperature: tutto ciò determina una maggiore quantità di fibre e nutrienti, soprattutto minerali e vitamine, nel prodotto finale. Inoltre, a differenza delle grandi coltivazioni di grani moderni, solitamente i grani antichi non vengono trattati con diserbanti come il glifosato, un erbicida sistemico ad ampio spettro usato per uccidere le erbe infestanti che competono con le colture. Tale composto viene assorbito attraverso il fogliame e trasportato nei punti di crescita della pianta risultando efficace solo su piante a crescita attiva e non come erbicida pre-emergenza. Il suo meccanismo d’azione consiste nell’inibizione dell’enzima EPSPS, responsabile della sintesi dei 3 amminoacidi aromatici tirosina, triptofano e fenilalanina tramite la via dello shikimato. Il gene che codifica per questo enzima è presente in microbi e piante, ma assente nel genoma dei mammiferi, che quindi non dovrebbero subire effetti tossici. La crescita della pianta si interrompe dopo appena 5-6 ore dall’applicazione dell’erbicida, mentre le foglie cominciano a diventare gialle dopo circa 10-12 giorni.

L’utilizzo del glifosato è stato approvato negli anni ‘70 dopo essere stato scoperto dalla multinazionale Monsanto (oggi gruppo Bayer), che lo ha immesso sul mercato con il nome commerciale di Roundup, subito ampiamente diffuso grazie alla sua bassa tossicità per l’uomo rispetto agli altri erbicidi in uso all’epoca. Oggi il glifosato rappresenta l’erbicida più usato nel mondo e anche nell’agricoltura italiana, nonostante ormai da anni esso si trovi al centro di numerosi studi e discussioni circa i suoi possibili effetti tossici per l’uomo e l’ambiente. La pubblicazione di uno studio francese del 2012, condotto su ratti, sembrava infatti aver dimostrato la cancerogenicità di questa sostanza, ma tale lavoro è stato poi ritrattato per problemi di metodo e i dati non sono mai stati replicati in studi di qualità superiore. Nel 2015 la IARC ha poi inserito il glifosato nel gruppo 2A tra i probabili cancerogeni per l’uomo (stesso gruppo di DDT e steroidi anabolizzanti), quindi con limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo, ma sufficiente evidenza nei test clinici su animali. Al contrario, ECHA, EFSA, OMS e FAO hanno espresso giudizi più rassicuranti e hanno deciso di mettere in atto il principio di precauzione istituendo controlli e restrizioni: l’Olanda ad esempio ne ha vietato la vendita per uso domestico nel 2014; la Francia ha adottato lo stesso provvedimento del 2015, dopo averne già vietato l’uso negli spazi pubblici l’anno precedente; tale divieto è stato introdotto anche in Italia, dove nel 2016 è entrato in vigore il Decreto del Ministero della Salute che vieta anche l’immissione in commercio e l’impiego di prodotti a base di glifosato e ammina di sego polietossilata, combinazione che parrebbe essere responsabile di effetti tossici sugli esseri umani. Le stesse organizzazioni hanno poi riesaminato i livelli massimi di residui di sostanza che per legge possono essere presenti negli alimenti. Al momento l’utilizzo del glifosato è ammesso nell’Unione Europea fino al 15 dicembre 2022 in attesa di ulteriori studi.

L’impiego del glifosato desta preoccupazioni anche nei confronti dell’ambiente. Da una parte sappiamo che tale erbicida ha una bassa penetrazione nel suolo (profondità massima di circa 20 cm) e va incontro a facile degradazione poiché viene distrutto dai batteri qui presenti, per cui è poco probabile che contamini le falde acquifere. Riduce inoltre il consumo e la degradazione del suolo, evitando di sottoporre ad arature profonde i terreni destinati alla coltivazione. Di contro, da un lato tale sostanza mostra un emivita nel suolo che va da 2 a 197 giorni, dall’altro ha provocato lo sviluppo di specie infestanti resistenti (super-erbacce) inducendo gli agricoltori ad abusare di tale sostanza su colture geneticamente modificate per resistere al glifosato. Il tutto con costi importanti per gli agricoltori e a discapito dell’ambiente.

Il pastificio Martelli e le sue ricette

Grande esperto di pasta è senza dubbio il pastificio Famiglia Martelli, situato a Lari, vecchio borgo medioevale nel cuore della Toscana tra le dolci colline pisane. Questo piccolo pastificio a gestione familiare rappresenta ormai l’ultimo vero pastificio artigianale tradizionale. E’ dal 1926 che la famiglia Martelli porta avanti la nobile e antica arte della pasta artigianale, anteponendo la qualità alla quantità, valorizzando l’agricoltura locale e selezionando i migliori grani duri italiani (macinati dal Molino Borgioli di Calenzano).

La semola viene lentamente lavorata con acqua fredda per non comprometterne la qualità e gli elementi più preziosi, ossia glutine e carboidrati. L’impasto così ottenuto viene poi fatto passare da una trafila circolare in bronzo che consente di ottenere una pasta porosa e ruvida, perfetta per assorbire il condimento. A questo punto la pasta viene portata nelle celle di essiccazione realizzate in legno che scambiano calore e umidità con l’esterno in ogni momento. Tale fase segue il metodo tradizionale con temperature inferiori a 36°C, ventilazione omogenea e giusto grado di umidità, sotto il controllo dell’occhio esperto del pastaio. La pasta viene quindi fatta riposare finché non raggiunge il giusto grado di asciuttezza: sono così necessarie ben 50 ore per l’essiccazione dei loro spaghetti, che in questo modo diventano gustosi, digeribili e ricchi di elementi nutritivi. Ciò ben spiega il loro motto “Quel che un pastificio industriale fa in 5 ore, noi lo facciamo in un anno”.

Si tratta dunque di un mondo fatto di procedure lente, macchinari d’epoca e artigiani all’opera al fine di ottenere una delle migliori paste italiane. Una realtà di nicchia rivolta a un pubblico di veri intenditori.

Di seguito sono riportate alcune delle ricette rinvenibili sul loro sito… buon appetito!

  •  Insalata mediterranea con i FUSILLI DI PISA

Ingredienti per 4 persone. 300 g di fusilli di Pisa, 40 g di olive nere denocciolate, 40 g di capperi con gambo, 20 g di pinoli tostati, 20 g di pomodori pachino, 20 g di mozzarelline ciliegia, 2 coste di sedano bianco, 20 foglioline di basilico, peperoncino macinato fresco, olio extravergine di oliva, sale q.b., pepe bianco.

Preparazione. Cuoci i fusilli di Pisa in abbondante acqua salata per 7 minuti circa. Nel frattempo, taglia i pomodorini in due, riduci le olive a listarelle e le coste di sedano a cubetti. Scola la pasta e passala velocemente sotto l’acqua fredda per bloccarne la cottura. In una ciotola capiente versa la pasta e aggiungi le verdure tagliate, aggiusta di olio, sale e pepe. Impiatta guarnendo ogni scodella con 5 mozzarelline e una manciata di foglie di basilico e pinoli.

  • PENNE CLASSICHE con zucca e salsiccia

Ingredienti per 4 persone. 360 g di penne classiche, 2 salsicce fresche, 500 g di zucca gialla, 3 rametti di timo, 10 foglioline di salvia, 5 foglie di alloro, 50 g di burro, sale q.b., spago per alimenti.

Preparazione. Lega insieme timo e salvia. Pulisci la zucca e tagliala in piccoli cubetti. In una casseruola fai struggere il burro con l’alloro, quindi aggiungi la zucca e gli altri aromi. Regola di sale e fai cuocere fin quando ?il ?composto comincia a disfarsi, a quel punto togli gli aromi e riduci il tutto in purea con l’aiuto del mixer. Taglia le salsicce in piccoli pezzi e saltale in un’altra padella antiaderente per farle sgrassare. Cuoci le penne in abbondante acqua salata per 7 minuti. Salta la pasta nel sugo e insaporisci con i pezzetti di salsiccia. Servi caldo in tavola.

  • Gli SPAGHETTI al pesto rosso

Ingredienti per 5 persone. 360 g di spaghetti, 1 spicchio d’aglio, peperoncino (facoltativo), 1 ciuffo di basilico, 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro, 1 cucchiaino di pasta d’acciughe, 1 etto di parmigiano grattugiato, olio extra vergine, sale q.b.

Preparazione. Trita finemente aglio, basilico, peperoncino e mettili a crudo in una zuppiera capiente. Mescola gli ingredienti restanti e amalgama il tutto con un cucchiaio di legno e un filo d’olio extravergine a crudo. Cuoci gli spaghetti e serba un po’ della loro acqua di cottura per mantecare il sugo preparato. Servi in tavola con una bella spolverata di parmigiano.

Elena Sodini


A proposito di pasta, quest’anno a Natale il team MyNutritional ha deciso di fare un piccolo pensierino a tutti i clienti.

Picture of Susanna Agnello

Susanna Agnello

Laurea con lode presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia le scotte di Siena in Dietistica

Con la tesi sperimentale:
“Analisi dei parametri dello stress ossidativo in pazienti diabetici sottoposti ad un alimentazione ricca di sostanze antiossidanti”.

Laurea Specialistica/ Magistrale presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia in Scienze della Nutrizione Umana presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi, Firenze
Con la tesi sperimentale:
“Valutazione dello stato nutrizionale in pazienti anziani istituzionalizzati ed elaborazione di un piano di intervento nutrizionale sulla base delle nuove conoscenze scientifiche”

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